Come non si dà una notizia: il caso della (non) suora incinta

Premessa:

604144_1497745713811721_3573408885675017419_nNella vita si fa di tutto per ottenere quel pizzico di popolarità, per mettersi sotto i riflettori, per ricevere il consenso degli altri, anche sui social network con la corsa ai like. A volte questo diventa un vero e proprio vizio, un’ossessione. Pur di sentirsi presi in considerazione, alcuni condividono le notizie più disparate, senza rifletterci più di tanto, solo per sentirsi appagati per aver dato una notizia che ci auguriamo inculchi al lettore il nostro punto di vista. I giornali vendono se la notizia fa scalpore, se colpisce il lettore, poco importa se è vera, falsa, errata o incompleta. Ciò che importa non è informare ma formare, non è dare notizie ma fare notizia. Dare in pasto ai leoni delle vicende (e quindi delle persone) mediante un titolo accattivante che possa incuriosire, che possa tramutarsi in Euro (o in effimera popolarità in certi casi). Spesso tutto questo rientra semplicemente nella maldicenza, che ha il vile scopo di distruggere e abbassare l’altro per far emergere l’ego di se stessi. Per queste ragioni, vi proponiamo un interessante articolo di bergamopost.it, di un caso che è venuto alla ribalta anche grazie ai numerosi post condivisi su Facebook, affinché possa illuminare le menti di tutti gli internauti che si soffermano a condividere solo titoli di notizie senza controllarne la loro veridicità.  Libertà di informazione si, ma che sia corretta e con coscienza..

Come non si dà una notizia: il caso della (non) suora incinta

notizia del 29 gennaio, fonte bergamopost.it

La notizia era stata data così: “Suora di clausura va in ospedale col mal di pancia, partorisce un bambino”. Seguono le informazione di contorno: dov’è il convento, in che ospedale.

Il giorno dopo diventa questa. “La suora di clausura neo-mamma era stata violentata in Africa”. E qui apprendiamo che al citofono del convento in cui la ragazza è ospitata una suora aveva dichiarato al giornalista curioso: «È arrivata da noi a maggio dal Burundi per imparare l’italiano, non aveva ancora deciso il suo cammino, era all’inizio di un percorso. Quando è entrata nel nostro convento era già in stato interessante, ma lei non ce l’ha detto subito e noi abbiamo rispettato il suo segreto».

Se ne dedurrebbe che la suora in questione, oltre a non essere di clausura, non era nemmeno una suora. Che era stata violentata in una zona – il Burundi – dove gli stupri sono frequenti almeno come in India (dove costituiscono una piaga sociale) e che le sorelle l’avevano accolta con affetto e suprema discrezione. Rispetto a quegli inquirenti che, per accertarsi di uno stupro, sottopongono la vittima ad una serie di accertamenti legali e medici che – come minimo – ne raddoppiano la devastazione, l’atteggiamento delle suore (quelle vere) appare di una delicatezza davvero encomiabile. Da proporre come modello, diremmo, o se non altro tale da consigliare come minimo una qualche modifica nel titolo: da “La suora di clausura neo-mamma…” a  “Era stata vittima di uno stupro la ragazza accolta dalle suore di san Severino”. O un altro da cui si potesse comunque dedurre agevolmente che la suora in questione non era una suora e che comunque, prima di (non) essere suora, era una donna che aveva subito violenza. E noi siamo tutti contro la violenza alle donne, o no?

Così non è stato per una ragione che appare subito chiara se si dà un’occhiata alla colonnina degli Articoli Correlati, dove il link alla prima notizia (“Suora di clausura va in ospedale…) presenta una variazione (questa volta non se la sono dimenticata) a dir poco disgustosa: «“Miracolo” in convento: suora di clausura in ospedale col mal di pancia, partorisce».

Subito sotto c’è quest’altro: «La suora “porno” finita sotto Inquisizione: scriveva poemi erotici per le sue donne» che, quando si va a vedere, parla di una religiosa del Seicento che scriveva versi d’amore. Ergo: l’articolo correlato non presenta alcun nesso con quanto accaduto nelle Marche.

Dobbiamo dunque pensare che sia un’altra la correlazione in cui stanno i quattro articoli. E che si trovi non nella realtà dei fatti, ma nel background culturale della redazione di libero.it che, probabilmente, quando vede comparire all’orizzonte la parola “suora” non riesce ad andare oltre Boccaccio letto male, i libertini del Settecento o i fumetti per soli adulti. Che poi ci vadano di mezzo il rispetto nei confronti delle persone di cui si parla, dei sentimenti dei lettori, o della verità sembra contare davvero molto poco. Ci auguriamo che non trattino allo stesso modo la politica, il costume o la finanza.

fonte: www.bergamopost.it/cambiare-rotta/come-non-si-notizia-caso-non-suora-incinta/

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